Insegnare le soft skills è legge: rieduchiamo la gioventù da un punto di vista fisico e morale

Insegnare le soft skills è legge: rieduchiamo la gioventù da un punto di vista fisico e morale

Da Roars.it

Sono passati quasi 4 anni da quel Maggio 2018 in cui l’Istituto Nazionale di Valutazione INVALSI allegava al questionario studente delle prove INVALSI per la scuola primaria un quesito che ci sembrò subito particolarmente allarmante:

Il “quesito sui soldi”.  Così fu ribattezzato sui social e sulle pagine dei media che lo ripresero.

La domanda sulle aspettative future dei bambini di 10 anni fece il giro della rete. Generò persino una presa di posizione pubblica del Responsabile dei test, oggi Presidente dell’INVALSI, che in un’intervista dichiarò:

Capisco che il denaro può creare qualche perplessità, ma la cosa va vista nella sua completezza: il denaro nel senso di una riuscita nelle proprie prospettive di realizzazione. [..] Non dobbiamo avere l’idea di un bambino angelicato. Il bambino di 10 anni vive già all’interno di una società ed è opportuno che abbia delle idee rispetto al suo futuro. [..]

In quello stesso questionario erano presenti anche altre domande, volte ad indagare atteggiamenti o tratti della personalità dei bambini quali l’autoefficacia, il rapporto con i compagni di classe, o con i genitori.

Tutti aspetti che poco avevano a che fare con la costruzione del profilo economico-sociale di provenienza degli studenti sottoposti ai test, ma rappresentavano – potremmo dire- una sorta di profilazione precoce  di alcune di quelle che oggi chiameremmo competenze non cognitive, soft skills o character skills.

All’epoca approfondimmo la questione in una serie di post (vedi qui,  quiquiquiqui…). E pensammo che quelle domande dei questionari INVALSI non fossero un caso, ma solo l’inizio di una nuova pagina delle politiche scolastiche, ancora da scrivere.

Nell’attuale dibattito sui processi educativi, le soft skills costituiscono il fulcro di un nuovo campo di ricerca trasversale, a cavallo tra psicologia, pedagogia, sociologia ed economia comportamentale. Campo che avrebbe prima o poi investito con la sua onda lunga anche la scuola italiana, così già come accadeva altrove.

Le idee di economisti come Heckman, Kauts, Woessman, negli USA, sono finite sui tavoli di lavoro dell’OCSE (Organizzazione per lo Sviluppo e Cooperazione Economica). E da noi Giorgio Vittadini, la Fondazione per la Sussidiarietà o la Compagnia di San Paolo , con il sostegno dell’istituto nazionale di valutazione INVALSI, avevano già cominciato a colonizzare gli spazi e l’immaginario del discorso educativo.

Sono passati 4 anni, da allora, altrettanti governi, 3 tornate di test INVALSI e 4 ondate di Sars-Cov 2. Quei quesiti non sono più stati riproposti. Nel frattempo, le soft skills hanno conquistato terreno in campo culturale e consenso politico.

La casa editrice il Mulino, nella collana finanziata dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, ha pubblicato nel 2021 un  testo dal titolo Viaggio nelle characher skills, a cura di Giorgio Vittadini, Anna Maria Poggi e Giorgio Chiosso, che prova a nobilitare da un punto di vista sociologico e pedagogico l’insegnamento delle soft skills, presentandone una prima sperimentazione già attuata nella Provincia Autonoma di Trento.

Nel giugno scorso, in occasione dell’introduzione del curriculum dello studente,  sempre Vittadini firmava un editoriale dal titolo “Una rivoluzione alla Maturità: voto al carattere”, in cui accoglieva con soddisfazione la prima formalizzazione in ambito scolastico delle competenze non cognitive.

Pochi giorni fa, infine, l’11 gennaio, è stata approvata alla Camera dei deputati la legge proposta dall’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà sulle Non Cognitive Skills.

I parlamentari  Paolo LattanzioValentina ApreaFlavia Piccoli NardelliVittoria CasaAlessandra CarbonaroAngela ColmellerePaola FrassinettiGabriele ToccafondiMaurizio Lupi,  dell’Intergruppo, hanno anche scritto una lettera aperta ai docenti: ora che c’è la legge, tocca a loro rimboccarsi le maniche.

Nell’articolo 1, dedicato alle finalità, leggiamo:

Al fine di prevenire la povertà educativa e la dispersione scolastica, la presente legge prevede l’introduzione sperimentale e volontaria, nell’ambito di uno o più insegnamenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, delle competenze non cognitive, quali l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale, nel metodo didattico.

Paolo Lattanzio, capogruppo PD della Commissione Infanzia e Adolescenza ha dichiarato:

Sono molto soddisfatto del sì della Camera alla legge su ‘Non cognitive skills’ di cui sono stato relatore su proposta dell’Intergruppo sussidiarietà. (…) La sperimentazione coinvolgerà le scuole di ogni ordine e grado, disarticolando una centralità esclusiva delle competenze cognitive per valorizzare anche aspetti relazionali e individuali come la coscienziosità, il senso di efficacia, l’auto-determinazione, la mentalità dinamica. Queste competenze, se sviluppate durante il periodo scolastico, possono avere un effetto positivo sull’apprendimento, sulla scelta dei percorsi di studio, sull’accesso al mondo del lavoro, sul senso civico e la cittadinanza attiva.”

Le cosiddette “Big Five”, insomma, entrano a pieno titolo nell’istruzione italiana. Prima sotto forma di sperimentazione volontaria, come abbiamo già visto accadere per i diplomi quadriennali.

In piena quarta ondata pandemica, nella disattenzione o nella noncuranza dei cenacoli di studiosi e accademici e delle associazioni di insegnanti, mentre le scuole sono prostrate dalla gestione di una quotidianità surreale, fatta di quarantene, certificati, controlli medico-sanitari, ecco arrivare la sperimentazione sull’insegnamento di[5]:

amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale per contrastare in modo efficace la povertà educativa e la dispersione scolastica

Non è difficile riconoscere nel lessico che richiama i concetti di educazione integralecrescita e sviluppo della persona umana i tratti principali e inconfondibili di un discorso riformatore che non cessa di rinforzare la torsione neoliberale delle finalità scolastiche. Discorso aggiornato con nuove categorie o tendenze psico-economiche, ma sempre fondato sullo stesso principio: la riduzione del fenomeno educativo a fatto individuale e privato, e non più fatto politico, sociale e collettivo.

Siamo oltre la naturalizzazione e la medicalizzazione dei comportamenti umani e del “carattere”. Siamo alla “neuropedagogia“, all’illusione di una normalizzazione degli atteggiamenti, di un’individuazione dei tratti più “utili” (così, Giorgio Vittadini, nella sua presentazione tenuta presso il MIUR-INVALSI nel 2018) per opera del lavoro scolastico, fin dall’ infanzia, laddove è maggiore la malleabilità delle dimensioni psicologiche. “Calibrare” atteggiamenti e “dimensioni utili” significa rieducare la gioventù, [riorganizzarla] da un punto di vista morale e fisico“.

Giorgio Chiosso, Giorgio Vittadini e Anna Maria Poggi dicono che è ormai tempo di “muoversi anche in italia nella direzione aperta da Heckman e sostenuta dal movimento della character education”.

Gli insegnanti, nei collegi docenti, diranno di no?

Speriamo che dica di no anche il Senato della Repubblica.

Vittorio Borgatta

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